Federsupporter: La sentenza "bomba" della Corte di Giustizia Ue riporta il pubblico negli stadi

La recente sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea può avere come effetto il ritorno del pubblico negli stadi di calcio. Lo evidenzia Federsupporter nel suo studio sulla sentenza che viene allegato in calce al presente comunicato. Questo perché, secondo l'esame di Federsupporter, il venir meno dell'esclusiva per la trasmissione delle partite costringerà i club, in particolare della serie A, a trovare nuove fonti di guadagno poiché i ricavi dalla vendita dei diritti tv avrà probabilmente minor peso rispetto al passato.
Secondo lo studio di Federsupporter la Corte di Giustizia Ue ha evidenziato tre punti chiave:
1) Sono legittimi e leciti la commercializzazione e l’uso nei Paesi membri della UE di dispositivi di decodificazione di trasmissioni televisive fabbricati e/o commercializzati con l’autorizzazione di un ente televisivo di uno dei suddetti Paesi
2)  Violano le norme comunitarie sulla concorrenza le clausole di contratti di licenza per la trasmissione di partite di calcio che vietino ad enti radio-televisivi di fornire impianti di decodificazione che permettano l’accesso a tali trasmissioni anche al di fuori della zona geografica oggetto dei contratti stessi.
3) Gli incontri di calcio non possono essere tutelati sulla base del diritto d’autore ed il diritto della UE non li tutela ad alcun altro titolo nell’ambito della proprietà intellettuale. Gli incontri sportivi non possono essere considerati quali creazioni intellettuali, qualificabili come opere ai sensi delle norme comunitarie sul diritto d’autore e ciò vale, in particolare, per gli incontri di calcio che sono disciplinati dalle regole del gioco che non lasciano margine per la libertà creativa ai sensi del predetto diritto d’autore.

 

TRASMISSIONE AUDIO-VISIVA DELLE GARE DI CALCIO . IMPORTANTE SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA.

( Avv. Massimo Rossetti ,Responsabile dell’Area Giuridico-Legale)

La Corte di Giustizia europea, con sentenza del 4 ottobre 2011, ha sancito alcuni importanti principi in materia di diffusione radio-televisiva di incontri di calcio.

La sentenza, che si compone di oltre 30 pagine, è molto ponderosa, articolata e di notevole complessità sul piano tecnico-giuridico.

Mi sforzerò, quindi, di trarre da essa e di spiegare nella maniera più agile ed agevole possibili, tale da poter essere compresi anche da non addetti ai lavori, quelli che ritengo esserne gli aspetti ed i principi più rilevanti.

La sentenza origina da una serie di controversie insorte sin dal 2008 tra la Football Association Premier League limited ( FAPL), alcune società che commercializzavano decoder e schede televisive, nonché alcuni proprietari e gestori di pub che trasmettevano al pubblico partite di calcio di squadre appartenenti alla predetta FAPL.

A seguito di tali controversie, la High Court of Justice britannica e del Regno Unito ha investito la Corte di Giustizia Europea di una serie di quesiti circa la esatta e corretta interpretazione del diritto comunitario applicabile alla trasmissione radio-televisiva di partite di calcio.

Ciò premesso, il 4 ottobre 2011 la Corte si è pronunciata dopo aver acquisito e valutato le altrettanto ponderose, articolate e complesse ( n.24 pagg.) conclusioni dell’Avvocato Generale presso la Corte stessa, presentate a quest’ultima il 3 febbraio 2011.

Vediamo, dunque, quali sono i principi, almeno quelli, a mio avviso, più rilevanti che dalla sentenza possono essere tratti.

 

 

1) Sono legittimi e leciti la commercializzazione e l’uso nei Paesi membri della UE di dispositivi di decodificazione di trasmissioni televisive fabbricati e/o commercializzati con l’autorizzazione di un ente televisivo di uno dei suddetti Paesi.

Ciò significa che non può essere considerato un dispositivo illecito, alla luce del diritto comunitario, un decoder fabbricato e/o commercializzato in un Paese membro della UE con l’autorizzazione di un ente radio-televisivo di un altro Paese membro.

Cosicchè deve essere considerata lecita, nella fattispecie, la vendita e la diffusione in Inghilterra di decoder commercializzati con l’autorizzazione di un ente radio-televisivo greco che consente la visione di partite di calcio della FAPL, i cui diritti di trasmissione siano stati acquistati dal suddetto ente per la diffusione in Grecia di tali partite.

Sempre nella fattispecie,alcuni pub inglesi si erano muniti dei suddetti decoder, si erano abbonati all’ente radio-televisivo greco e trasmettevano per i propri avventori le partite di calcio della FAPL ad un costo notevolmente inferiore a quello dell’abbonamento ad enti radio –televisivi inglesi che avevano acquistato dalla FAPL il diritto di trasmettere in esclusiva tali partite in Inghilterra.

La Corte è pervenuta alla conclusione di cui sopra, avendo considerato che, ai fini del diritto comunitario, un dispositivo di decodificazione, fabbricato e/o commercializzato con l’autorizzazione di un ente radio-televisivo di uno Stato membro della UE, sebbene utilizzato al di fuori della zona geografica per il cui uso è stato rilasciato, non può ritenersi “ taroccato” e, perciò, illecito.

Neppure può essere ritenuto illecito, sostiene la Corte, nel caso in cui il dispositivo in questione venga ottenuto mediante l’indicazione di un falso nome e di un falso recapito dell’effettivo utilizzatore e nel caso in cui esso venga utilizzato in contrasto con una previsione contrattuale che ne limiti l’utilizzazione.

La Corte, infatti, ha giudicato che le clausole contenute nei contratti di acquisto dei diritti di trasmissione di gare di calcio, in base alle quali clausole l’utilizzatore del decoder deve fornire il proprio nominativo ed il proprio recapito, onde consentire la verifica che si tratti di un utilizzatore appartenente alla zona geografica per cui i diritti sono stati acquistati in esclusiva ed in base alle quali clausole l’utilizzo sia stato riservato a fini privati e non commerciali,non rilevano nei confronti dell’utilizzatore in quanto quest’ultimo è estraneo ai suddetti contratti e, pertanto, terzo rispetto ad essi.

In conclusione ed a titolo esemplificativo, sarebbe possibile e del tutto lecito commercializzare in Italia decoder fabbricati e/o commercializzati da un ente radio-televisivo straniero, appartenente ad un altro Stato membro della UE, che avesse acquistato il diritto di trasmettere in quello Stato partite di calcio del campionato italiano.

Né osterebbe l’indicazione da parte dell’utilizzatore italiano di un falso nome e di un falso recapito di un utilizzatore di uno Stato straniero, né il fatto che l’uso del decoder avvenga non per fini privati, bensì commerciali.

 

2) Violano le norme comunitarie sulla concorrenza le clausole di contratti di licenza per la trasmissione di partite di calcio che vietino ad enti radio-televisivi di fornire impianti di decodificazione che permettano l’accesso a tali trasmissioni anche al di fuori della zona geografica oggetto dei contratti stessi .

 

La Corte ha stabilito che limiti alla libera circolazione nell’ambito dei Paesi membri della UE di beni e servizi possono essere considerati legittimi e leciti solo per tutelare la facoltà di sfruttamento commerciale di tale messa in circolazione, ma non anche per garantire ai titolari dei diritti inerenti alla circolazione stessa la possibilità di chiedere ed ottenere il più alto compenso possibile.

In altri termini, la Corte sostiene che le clausole restrittive, contenute nei contratti stipulati tra Leghe calcistiche ed enti radio-televisivi, limitanti la diffusione e l’utilizzazione di decoder, forniti dagli stessi enti, esclusivamente agli abitanti nella zona geografica oggetto dei contratti, hanno proprio lo scopo di garantire ai soggetti titolari dei diritti ( alle Leghe Calcio e, quindi, alle Società appartenenti alle Leghe), non solo un risultato economico, bensì il più alto risultato economico possibile.

Caso mai, afferma la Corte, allo scopo di meglio tutelare i propri interessi economici, i soggetti titolari dei diritti in discorso, nello stipulare i contratti con gli enti radio-televisivi, potrebbero determinare l’entità dei relativi compensi, non solo in relazione al numero dei possibili utilizzatori residenti nel territorio dell’ente, bensì anche in relazione al numero degli effettivi utilizzatori residenti in altri territori di Stati appartenenti alla Comunità Europea.

D’altra parte, osserva la Corte, ogni ente radio-televisivo sa e può sapere con assoluta esattezza e precisione il numero effettivo degli utilizzatori di decoder da esso ente fabbricati e/o commercializzati, indipendentemente dai territori in cui tali decodificatori vengano utilizzati.

Ciò che è assolutamente vietato, secondo la Corte, è che differenze di prezzo nella vendita di diritti radio-televisivi siano il risultato di una esclusività territoriale assoluta tale da provocare una compartimentazione tra i mercati nazionali dei Paesi membri della UE e che renda artificiose tali differenze.

Quanto sopra in maniera inconciliabile con lo scopo essenziale del Trattato comunitario che consiste nella realizzazione di un unico mercato interno europeo.

E’, altresì, interessante sottolineare come la Corte rilevi che restrizioni alla libera prestazione di servizi di trasmissione radio-televisiva di partite di calcio e restrizioni consistenti nel divieto di utilizzare decoder stranieri non risultino giustificate neppure dall’obiettivo di incoraggiare l’affluenza del pubblico negli stadi.

Neppure, sempre secondo la Corte, tali restrizioni possono essere giustificate dal fatto che siano previsti prezzi differenziati tra l’utilizzo di decodificatori a fini privati o a fini commerciali.

Sotto questo profilo, infatti, la Corte ritiene irrilevante che il decodificatore sia nazionale o straniero: anche un decodificatore nazionale, così come quello straniero, può essere, infatti, utilizzato alternativamente per fini privati o commerciali.

 

3) Gli incontri di calcio non possono essere tutelati sulla base del diritto d’autore ed il diritto della UE non li tutela ad alcun altro titolo nell’ambito della proprietà intellettuale. Gli incontri sportivi non possono essere considerati quali creazioni intellettuali, qualificabili come opere ai sensi delle norme comunitarie sul diritto d’autore e ciò vale, in particolare, per gli incontri di calcio che sono disciplinati dalle regole del gioco che non lasciano margine per la libertà creativa ai sensi del predetto diritto d’autore. .

 

Si tratta, come è facilmente intuibile, di principi che vanno ben al di là delle controversie a cui la sentenza della Corte fa riferimento : principi che possono assumere notevole importanza anche a fini ulteriori, non solo nell’ambito comunitario, ma anche in quello nazionale.

Se, infatti, le partite di calcio non sono opere tutelabili sotto il profilo del diritto d’autore e della proprietà intellettuale, secondo il diritto comunitario,non sembra che lo possano essere secondo il diritto interno di ciascun Paese membro dell’Unione.

La Corte, peraltro, rileva che, in linea di principio, il diritto nazionale ben può prevedere una tutela specifica dello sfruttamento economico della diffusione via radio e/o televisione di incontri di calcio, poiché questi ultimi, pur non potendo essere meritevoli di tutela analoga a quelle delle opere, tuttavia, possono essere meritevoli di tutela ad altro titolo, rivestendo essi un carattere unico ed una peculiare specificità rispondenti alla funzione sociale ed educativa che l’ordinamento comunitario riconosce allo sport.

Resta, però, fermo, in ogni caso, il fatto, sancisce la Corte, che una tutela del genere non può mai comportare restrizione del libero mercato e della concorrenza, valendo, a questo proposito, i limiti a tale tutela già esposti sub 2).

Ne discende che, se è legittimo e lecito che una più ampia diffusione ed utilizzazione mediante radio e televisione di spettacoli di calcio possano essere compensate , in maniera proporzionata e ragionevole,  dal punto di vista economico, non altrettanto legittime e lecite, alla luce della sentenza in esame, sembrano essere tutte quelle norme, contrattuali o di leggi nazionali, che restringano, mediante diritti di esclusiva, la possibilità della diffusione ed utilizzazione suddette: sicuramente nell’ambito del mercato interno comunitario ma, penso di poter dire, anche nell’ambito dei mercati interni nazionali dei rispettivi Paesi membri della UE.

La Corte, inoltre, sempre fermo restando che gli incontri di calcio non ricadono sotto la tutela del diritto d’autore, stabilisce che, ove pure vi rientrassero, la loro riproduzione non sarebbe comunque tutelabile.

Invero, secondo la Corte, la trasmissione via radio o televisione di una partita di calcio è temporanea, transitoria, costituisce parte integrante ed essenziale di un procedimento tecnologico avente l’unico scopo di consentire un utilizzo legittimo di un’opera o di un oggetto protetto e priva di un rilievo economico proprio.

Sotto quest’ultimo profilo ( rilievo economico proprio), se, come osserva la Corte, è indubbio che l’accesso alla trasmissione di uno spettacolo sportivo rivesta un rilievo economico, tuttavia, tale rilievo non è proprio in quanto non và al di là del vantaggio derivante dalla pura e semplice ricezione della trasmissione stessa, non generando, quindi, un vantaggio ulteriore e supplementare alla ricezione medesima.

Pertanto, qualora pure gli incontri di calcio potessero essere – e non lo sono- ritenuti delle opere tutelabili in base alla normativa sul diritto d’autore, anche in questo caso, la loro riproduzione, in base alle considerazioni sopra esposte, sarebbe comunque legittima e lecita, senza bisogno dell’autorizzazione dei titolari dei diritti alla loro trasmissione.

Non solo, ma la Corte, con specifico riguardo alla direttiva comunitaria sulla radio- diffusione satellitare, afferma che tale direttiva và interpretata nel senso che essa non incide sulla liceità di atti di riproduzione effettuati nella memoria di un decoder satellitare o su uno schermo televisivo.

Le uniche cose sulle quali le Leghe calcistiche potrebbero far valere diritti d’autore sono, secondo la Corte, le opere contenute nelle emissioni diffuse: vale a dire , in aprticolare, sulla sequenza video di apertura, sull’inno della Lega, su film preregistrati che ripetano i momenti più significativi di incontri della stessa Lega, su una serie di soluzioni grafiche.

Ne discende che, ove fosse captata una trasmissione priva delle suddette opere, non vi sarebbe alcuno spazio, neppure molto parziale e residuale, per rivendicare la tutela di diritti d’autore in ordine a tale trasmissione.

4) Conclusioni

Da tutto quanto precede emerge, a mio parere, un quadro generale che, pur con le dovute cautele e con la necessità di ulteriori, più meditati approfondimenti, ben più autorevoli di quelli che mi sono sforzato di fare in questa sede, stanti anche la novità e complessità delle statuizioni della Corte di Giustizia Europea, non potrà non avere molteplici e rilevanti ripercussioni anche a livello nazionale sulla diffusione e sullo sfruttamento dei diritti radiofonici e televisivi per la trasmissione di eventi sportivi in specie calcistici.

Non è un mistero, infatti, che, soprattutto in Italia, le Società di calcio vivono grazie ai proventi derivanti dallo sfruttamento dei suddetti diritti e che, perciò, una ben più limitata o, addirittura, preclusa possibilità di rivendicare in ordine a tali diritti condizioni di esclusiva assoluta non potrà che indebolire notevolmente la capacità delle suddette società di ricavare quello che oggi ricavano dalla vendita dei diritti in questione.

Questo, d’altronde, non potrà che indurre tali società e, più in generale, le Istituzioni sportive e le Istituzioni tout court, a favorire, come non hanno sinora fatto e non fanno, la partecipazione diretta del pubblico alle gare.

Ricordo, infine, sempre in tema di vendita di diritti audio-visivi relativamente a partite di calcio, in riferimento alle norme a tutela della concorrenza e del mercato, che il Consiglio di Stato, con sentenza del 12 aprile 2011, da me, pure, commentata il 6 giugno scorso ( cfr.www.federsupporter.it) e, stranamente, ignorata dagli organi di informazione, aveva sancito che le modalità di formazione dei pacchetti audiovisivi assunte dalle Leghe Calcio di Serie A e B, relativamente alle stagioni sportive 2010/2011 e 2011/2012, risultavano inidonee a garantire

lo svolgimento di una procedura effettivamente competitiva determinando un minor grado di concorrenza.

In particolare, emergeva dalla sentenza del Consiglio di Stato che tale restrizione era idonea provocare effetti negativi sui consumatori, conducendo a prezzi di fruizione dei contenuti audio-visivi più elevati ed a una inferiore varietà e qualità dell’offerta.

 

Ancora una volta, dunque, appare vieppiù necessario ed urgente che, anche grazie all’attività ed all’opera portate avanti e che saranno proseguite da Federsupporter, si realizzi, si rafforzi e si sviluppi nei consumatori, diretti ed indiretti, di spettacoli sportivi la coscienza, la consapevolezza e l’esigenza di unirsi per far valere i propri diritti ed interessi, pretendendo il più scrupoloso e rigoroso rispetto di quanto, sia il diritto comunitario sia il diritto nazionale, già riconoscono e dovranno riconoscere loro, in conformità ed in coerenza con un mercato ed una concorrenza sempre più aperti e liberi.

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